Alcune cause per le quali il bambino può rifiutare il cibo:
Difficoltà al momento del divezzamento nell'accettare cibi e modalità diverse nell'alimentazione |
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Eccessiva importanza data ad alcuni alimenti (es. carne) |
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Alimentazione squilibrata e continua ("merende a tutte le ore") |
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Variabilità dell'appetito, legata ad esempio ai cambiamenti stagionali o a precedenti periodi di alimentazione abbondante |
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Fattori ambientali: caldo, mancanza di attività fisica |
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Genitori "ansiosi", troppo scrupolosi nel rispettare uno schema rigido di alimentazione |
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Repressione del desiderio del bambino di manipolare i cibi tentando di mangiare da solo |
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Tensioni nei rapporti familiari: gelosia, liti, separazioni, ecc. |
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Durante l'Incubazione di una malattia e per tutta la sua durata, compresa spesso la convalescenza: tenere a riposo |
Vi sono poi anche bambini che effettivamente in certi periodi riducono l'alimentazione, e questo può accadere per vari motivi (malattie in corso, convalescenza, problematiche familiari, gelosie con i fratelli, scuola, ecc.). Si tratta in genere di fasi transitorie che non richiedono alcun intervento, ed è comunque inutile stimolare l'appetito con farmaci: in questi casi, più corretto e certamente più produttivo è occuparsi delle cause che hanno provocato la disappetenza.
I farmaci "ricostituenti" sono ancora oggi fra i più venduti, e non solo i "polivitaminici", il cui uso ha senso solo in alcune precise patologie, ma anche i cosiddetti integratori "naturali", come la pappa reale, il ginseng, e altro. Si tratta di prodotti carichi di suggestione, presentati come capaci di ricostituire qualcosa che si è perso (l'appetito, la memoria, il vigore fisico) e di restituire alla persona, al bambino, allo studente, la carica necessaria per affrontare le difficoltà e gli impegni quotidiani.
Gli studiosi giudicano questi prodotti completamente inutili. Questi farmaci rappresentano evidentemente solo una prescrizione medica semplicistica e priva di rigore scientifico, un'illusione per il genitore che li dà con fiducia al bambino e soprattutto un buon affare per chi li produce.
L'alimentazione non è mai solo un fatto di cifre, a nessuna età. Entra sempre in gioco la complessità dei rapporti, come quelli instaurati dai genitori con il bambino e dal bambino con i genitori. I genitori dovrebbero cercare di capire le proprie ansie, quale è la loro origine e cercare di non soccombervi: potrebbero per esempio pensare che il bambino sia un essere molto più fragile di quanto non sia in realtà, che non abbia nessun meccanismo di difesa e di scelta, che se non mangia quanto vogliamo e come vogliamo "non ci vuole bene", ecc.
Il bambino può opporsi a tutto questo e rifiutare di mangiare più di quanto gli è necessario. Scatta allora nei genitori il timore che il figlio sia disappetente: si instaura un meccanismo che vede da una parte il genitore che insiste perché il bambino mangi e dall'altra il bambino che insiste nel rifiuto.
Tale stato di cose può durare nel tempo, per più anni, tanto che per molti genitori il mangiare diventa una specie di guerra/sfida.
Di fronte all'inappetenza del bambino o ad atteggiamenti di parziale rifiuto dei cibi, si dovrebbero sempre avere un comportamento non autoritario e quindi di rispetto della sua autodeterminazione.
"Il bambino non mangia nulla! Beve solo latte"E' piuttosto diffuso il concetto che il latte e lo yogurt siano "solo" bevande: in realtà bere una tazza di latte è "mangiare" ( si assumono grassi, proteine, carboidrati, sali minerali, vitamine, acqua). Quanti genitori si lamentano del fatto che il proprio figlio "non mangia praticamente nulla, beve solo latte!": in realtà questo bambino sta mangiando, ed oltre tutto sta assumendo un alimento completo, capace di fornire adeguatamente calorie e nutrimento. Questo atteggiamento nei confronti del latte spiega in parte il fatto che molti genitori non vedono l'ora di divezzare il bambino perché cominci a "mangiare davvero"; il concetto del latte "solo" bevanda crea non poche difficoltà nel convincere i genitori ad alimentare a solo latte il figlio per almeno i primi quattro/cinque mesi di vita. E' un errore anche quello di abituare il bambino a consumare latte come "bevanda" durante il pasto, con un probabile conseguente eccesso nell'apporto calorico. Ancora peggio bere bicchieri di latte fra un pasto e l'altro, commettendo due errori: mangiare troppo e troppo spesso. |
Ci sono alcune conoscenze e considerazioni razionali che potrebbero aiutare l'adulto a tranquillizzarsi nelle sue valutazioni:
il bisogno di introdurre calorie e quindi proteine, lipidi e liquidi si riduce sensibilmente dopo il primo anno di età; |
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esistono variazioni individuali riguardanti la quantità di alimenti necessari e nello stesso bambino è possibile osservare variazioni nel tempo del tutto normali; |
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il giudizio sul fatto che il bambino mangi poco non è ben definito (si tratta dell'impressione dell'adulto, più che di dati correlati all'assunzione del cibo in rapporto al reale fabbisogno di quel bambino) ed è in genere in conflitto con i positivi dati relativi alla crescita in peso ed altezza; |
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un bambino sovralimentato nel primo anno di vita (evenienza tutt'altro che rara) tende a mangiare meno nel secondo anno; |
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periodi transitori di eccitazione e di ansia tendono a tradursi in un momentaneo rifiuto del cibo; |
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in una sperimentazione svolta su bambini nel corso del divezzamento, questi messi di fronte a vari alimenti, in pochi giorni hanno scelto una dieta equilibrata, del tutto confacente alle loro esigenze: va quindi data fiducia alla capacità di autoregolazione del bambino; |
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può influire nelle richieste di maggiore assunzione di cibo il fatto di voler adeguare l'immagine del proprio bambino a quella del bambino di tanta pubblicità, un bambino grasso e paffuto. Il modello di bellezza infantile, al contrario del modello di bellezza adulta, viene offerto nella stragrande maggioranza dei mass media come "grasso" (se non addirittura obeso). |
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un bambino che è stato capace di correre, giocare, restare attivo per gran parte della sua giornata, è quasi certo che abbia assunto calorie in quantità sufficiente a soddisfare il suo fabbisogno energetico. |
Alla base dell'obesità vi sono soprattutto fattori genetici e neuropsicologici, sui quali si inseriscono fattori culturali e socioeconomici, con conseguenti abitudini di vita scorrette (alimentazione eccessiva, scarsa attività fisica).
Recenti studi imputerebbero prevalentemente al metabolismo il determinarsi dell'obesità: sarebbero a rischio soprattutto gli individui con bassa spesa energetica di base (cioè con una predisposizione metabolica genetica).
Negli anni '70 furono condotti degli studi che sembravano dimostrare che un eccessivo aumento di peso già nella prima infanzia portava ad un aumento numerico delle cellule del tessuto adiposo con conseguente predisposizione all'obesità per tutta la vita. Una teoria che è stata in seguito confutata e tuttora non è stato possibile verificarne l'esattezza. Questo però non significa che non dobbiamo preoccuparci dell'eccesso di peso del lattante: questo di per sé comporta inconvenienti, indipendentemente dal fatto che si traduca o no in obesità dell'adulto. Si pensi soprattutto ai problemi relazionali ed emotivi connessi con l'obesità nell'infanzia e alle difficoltà che crea nell'apprendimento delle funzioni motorie.
Quindi oltre ai rischi probabili, anche se da dimostrare, ne esistono di certi, che ci fanno ritenere opportuno tenere sotto controllo il peso già nel lattante. Indispensabile a questo proposito, come già detto, non anticipare l'inserimento di cibi solidi prima dei sei mesi, proprio per il rischio che comportano di aumentare eccessivamente l'apporto energetico e quindi di portare il bambino in sovrappeso.
Importantissimo condurre bene il divezzamento, "consegnando" subito al bambino corrette abitudini alimentari e motorie: è il modo più efficace per prevenire eccessi di peso nelle età successive.
Il bambino obeso è a rischio di restare obeso da adulto: riportare il peso entro valori normali richiede una disciplina rigorosa e continuativa, dato che le ricadute sono frequenti. E' bene quindi saper mantenere il proprio peso nei limiti consigliati fin dall'infanzia per non dover ricorrere da adulti a faticosi trattamenti correttivi.
Valori troppo bassi di dispendio energetico rendono difficile mantenere l'equilibrio fra entrate ed uscite caloriche. Quindi il mantenimento e il raggiungimento di un peso corporeo corretto si ottiene non solo attraverso il controllo dell'alimentazione ma anche attraverso la pratica di una vita fisica attiva, a qualunque età.
La preoccupante diffusione del sovrappeso e dell'obesità nella nostra società è in buona parte attribuibile proprio al fatto che la vita moderna promuove stili di vita estremamente sedentari, con livelli assai ridotti di attività fisica, il tutto peggiorato naturalmente da un eccessivo apporto calorico alimentare.
Anche nella popolazione infantile italiana si fa sempre più evidente il problema del sovrappeso come frutto di una vita sedentaria. Per esempio, passare molte ore di fronte al televisore, magari consumando nervosamente dolciumi vari sotto la tensione o l'attrazione del programma seguito, predispone sicuramente ad un eccessivo aumento ponderale. Recenti studi hanno evidenziato che in Italia il bambino trascorre mediamente, già all'età di sei anni, quasi due ore al giorno di fronte alla televisione, trascurando sempre di più giochi che lo impegnerebbero fisicamente.
Oltre a rappresentare un fattore predisponente all'obesità, l'abitudine a livelli molto bassi di attività fisica coinvolge altri aspetti della salute. Uno stile di vita sedentario rappresenta, una volta adulti, un fattore di rischio per cardiopatia coronarica, diabete e tumore del colon. Un livello medio/alto di attività fisica è per altro lo strumento migliore per prevenire l'osteoporosi senile. I bambini che si mantengono attivi durante tutto il periodo della crescita avranno uno scheletro più robusto da adulti, e da anziani saranno più difficilmente soggetti a fratture. Uno stile di vita fisicamente attivo è utile anche per abbassare in modo apprezzabile la pressione arteriosa.
E' bene chiarire che per stile di vita "fisicamente attivo" si deve intendere innanzitutto un tipo di comportamento che dia la preferenza, nell'espletamento delle attività quotidiane, all'uso dei propri muscoli piuttosto che all'uso delle macchine. Ad esempio: ogni qual volta è possibile, camminare invece di usare l'auto, salire e scendere le scale piuttosto che servirsi dell'ascensore, e così via. Non si tratta quindi tanto di rigenerare muscoli trascurati con tour forzati di poche ore settimanali in palestra o su un campo da tennis, ma piuttosto di impostare un più sano stile di vita, fin da bambini, con abitudini che consentano un regolare, continuo, adeguato uso di tutto il proprio corpo, ogni giorno.
Potremmo ad esempio cominciare col ridurre significativamente l'uso quotidiano dell'automobile (che invece aspetta il bambino proprio davanti al portone della scuola, ostacolando il traffico, senza neppure provare a posteggiare più avanti, quasi che il bambino, finito di studiare, non abbia più.....gambe!); e tagli andrebbero dati anche all'uso del motorino (ormai attaccato fisso al fondo dei pantaloni dei nostri figli), e degli ascensori (fatti usare ai bambini, sempre più pigri, anche per un solo piano di scale).
E pensare che così la nostra salute ci guadagnerebbe due volte: una perché ci si muoverebbe di più, e una perché lo si farebbe in un ambiente meno inquinato.